Oggi sono incappato in questo articolo (link) nel quale un brillante studioso e imprenditore sardo nel settore dei bitcoin viene intervistato riguardo la scelta di attivare la e-residency Estone (e fin qui nulla di male).
C’è però un passaggio nell’intervista
al quale sembra desumersi la convinzione che l’apertura di una e-residency per le persone fisiche soci, e conseguente possibilità di aprire una società estone (attività obiettivamente molto semplice e intuitiva), possa escludere il sorgere dell’obbligazione tributaria in Italia.
Si consiglia caldamente agli imprenditori attuali o potenziali di farsi ben consigliare prima di organizzare sperimentazioni di questo tipo.
Seppure è vero che la nozione di “operazione di puro artificio” elaborata della Corte di Giustizia UE è meno stringente di quella di abuso spesso presente nella giurisprudenza interna, e che, di conseguenza, le libertà economiche UE possono fornire una qualche forma di tutela quando – come in questo caso – l’altro Stato coinvolto è uno Stato membro UE.
Tuttavia, l’impatto del progetto BEPS ha – ove possibile – ulteriormente amplificato la tendenza ad un approccio sostanzialistico alla fiscalità internazionale, già particolarmente marcato nell’approccio dell’amministrazione fiscale italiana.
Di conseguenza – specie ove un imprenditore in pectore (o il gruppo di futuri founder) pensi di gestire l’azienda dall’Italia – la società avrebbe altissime probabilità di essere considerata dall’agenzia delle entrate nostrana una costruzione di puro artificio, e dunque essere qualificata come società italiana “esterovestita”, con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo delle conseguenze sanzionatorie.
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